Ogni professione richiede di prendere decisioni ed agire con competenza: sarto, ingegnere, meccanico, avvocato, muratore o giudice, funziona per tutti così.

Nel mio lavoro per fortuna non tutte le decisioni sono difficili allo stesso modo. All’inizio della carriera era difficile la decisione tecnica: la sala operatoria impone tempi stretti: dalla rapidità e dalla decisione giusta dipende l’esito di un intervento complicato. La risposta è studiare, per essere in grado durante un intervento di scegliere rapidamente e nel modo migliore possibile: una sorta di esame di maturità (chi non lo ricorda…) preparati alla domanda più improbabile e difficile con la risposta più efficace. L’esperienza innalza l’asticella delle decisioni difficili facendone comparire con l’aumento delle responsabilità altre più difficili di quelle chirurgiche.

Come aiutare nella decisione il paziente davanti a rischi e benefici? Un eccessivo ottimismo potrebbe portarlo ad accettare un intervento senza tener conto dei possibili rischi, al contrario una visione negativa lo farebbe rinunciare alla possibilità di stare meglio per paura delle complicanze. Il consenso informato è un diritto, ma cosa succede se dal peso delle parole dipende la difficile decisione di un’altra persona? Cosa rispondere al paziente che chiede i rischi in termini percentuali? Purtroppo la statistica non è così precisa perché le variabili sono tante. Complicanze gravi o di mortalità ad esempio, si estrapolano da una popolazione ampia, che può dare un’idea di massima, ma non si tratta dell’analisi di gemelli del paziente: ognuno ha storia, malattie pregresse, capacità vitali e di recupero diverse. Rimane un margine di incertezza, tanto più ampio quanto più si agisce su malattie rare con numeri piccoli, procedure complesse o pazienti delicati.

Se il paziente vuole decidere senza sapere troppi dettagli cosa fare? Rispettare il suo desiderio, oppure essere più precisi con il rischio di sconfortarlo magari scatenando una crisi di panico? L’esperienza aiuta ad accompagnare i pazienti nelle decisioni difficili ma non si impara mai completamente: anche con il massimo dell’impegno talvolta la scintilla non scocca, il paziente si chiude e il dialogo si interrompe. La sconfitta è dietro l’angolo anche per il medico più esperto, purtroppo non si può piacere a tutti ed il paziente per la decisione difficile può chiedere un secondo parere: il nostro sistema sanitario nazionale lascia liberi di scegliere l’ospedale o il medico a cui rivolgersi.

La decisione che riguarda un minore è paradossalmente semplificata tanto più piccolo è il paziente: se gli interlocutori sono solo i genitori spesso il medico deve rispondere alla domanda “cosa farebbe se fosse suo figlio”. Certo non è facile, ma è più difficile con un adolescente perché ha già capacità di comprendere anche se legalmente non firma il consenso informato: è un attore in più nel processo decisionale. Come aiutarlo a comprendere le conseguenze della scelta che devono operare per lui i suoi genitori? Ricovero, intervento, riabilitazione e rischi devono essere condivisi per aiutare la famiglia a prendere una decisione difficile, cercando di mantenersi nel giusto equilibrio, che si rompe irrimediabilmente se c’è un disaccordo sulla scelta delle cure da parte dei genitori, riflesso di un contrasto. Ecco che la decisione da difficile diventa impossibile.

Alla fine, il paziente davanti alla scelta difficile se sottoporsi ad un intervento delicato e rischioso è sempre solo e l’unico modo per aiutarlo è ascoltare, spiegare e rispondere con competenza ed onestà. Al paziente che rinuncia o indeciso piuttosto che paventare le conseguenze della sua scelta è utile proporre di ascoltare il parere di un altro medico esperto, senza pretendere di essere l’unico a poter accompagnare il paziente nella difficile decisione.

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